L’Accademia di
Belle Arti Tadini di Lovere fino al 9 settembre 2018 dedica all’artista loverese
Giorgio Oprandi la mostra dal titolo Giorgio
Oprandi. Lo sguardo del viaggiatore. L’iniziativa a cura di Silvia Capponi e
Marco Albertario è realizzata in collaborazione con il Comune di Lovere, lo
Studio d’Arte S.Tomaso e la Quadreria dell’800 di Milano.
A bordo della sua
Fiat 503, una casa – atelier viaggiante, Giorgio Oprandi percorse molta strada.
I suoi viaggi iniziarono nel 1924 alla volta dell'Algeria e in seguito furono
compiuti a più riprese portandolo in Africa, Medio Oriente e Albania.
Le colonie italiane
in Africa costituirono le tappe più importanti del suo itinerario artistico che
spesso sconfinò oltre i luoghi comunemente conosciuti.
Ecco che, prima di
addentrarsi in questi nuovi ambienti, ricchi di suggestione e fascino la cruda
realtà della guerra lo portò a confrontarsi con altri luoghi certamente meno
rassicuranti troncando inaspettatamente la sua formazione artistica.
Il racconto dell'artista viaggiatore Oprandi parte proprio da qui, dai primi anni della sua formazione. Dagli studi presso l'Accademia Tadini di Lovere, (1894-1897) ai disegni per l'Accademia Carrara di Bergamo (1901-1907), i suoi primi anni furono principalmente delineati da opere grafiche come il Ritratto di Costanza Bondurri (fig 1) realizzato a pastello e da dipinti come La Primavera (fig 2) uno splendido ritratto femminile dalla delicata cromia.
Dal 1916 al 1921 Oprandi si impegnò al fronte. La sua esperienza bellica è raccontata da una serie di dipinti come L'Adamello del 1916 (fig 3) La battaglia bianca del 1917 (fig 4) e Paesaggio con soldati del 1916 (fig 5) un dipinto di grande effetto: Il candore diffuso crea un paesaggio quasi lunare nel quale una fila di soldati in marcia, dall'aspetto minuto a confronto della maestosità della montagna richiama la fragile condizione umana dei combattenti in guerra.
In quest'opera vi è l'idea romantica della natura, la quale è intesa come qualcosa di inarrivabile per bellezza e vastità di fronte alla quale l'uomo può solo inchinarsi.
I rimasti (fig 6) del 1918-1919 è un dipinto in cui l'ambientazione spoglia suggerisce la misera vita condotta da donne e bambini che attendono con ansia, con un velo di paura sul volto, il ritorno a casa dei propri cari e la fine della guerra.
Al termine del conflitto mondiale l'artista iniziò a partecipare alle prime mostre personali la prima organizzata a Milano presso la Galleria Pesaro. Appartiene a questo periodo l'opera La Primula del 1920 (fig 7), un ritratto dai toni sfumati di giallo dorato impalpabili e leggeri.
Alla fine del 1923 Oprandi si recò in Algeria inaugurando così un lungo periodo, che durò circa quindici anni, di itinerari avventurosi che lo portarono a documentare con entusiasmo e ammirazione paesaggi desertici e luoghi abitati dei Balcani. L'artista catturò gli scorci, le vedute particolari, sguardi e costumi di uomini e donne che incontrò, immortalandoli nelle sue tele. La mostra propone dipinti come Fanciulle algerine (fig 8) del 1924 oppure Nudo africano del 1926-1927 (fig 9) nel quale è presente l'influsso della pittura orientalista, dove il gusto per l'esotico si accompagna ad una sensualità esplicita.
L'Ebrea del Garian del 1930 (fig 10) è un ritratto di donna libica in cui l'artista abbandona le suggestioni esotiche a favore di una maggiore introspezione del personaggio. Un dipinto a mio avviso esaltato dalla scelta cromatica, in contrasto con lo sfondo, dell'azzurro per il copricapo e per gli occhi di intensa profondità.
In alcune opere l'artista documenta momenti di vita sociale come in Eritrea. Bivacco dopo il lavoro nella foresta (fig 11) oppure Mercato di frutta a Tripoli (fig 12)
mentre distese desertiche sono protagoniste assolute di tele come Silenzio. Tessennei del 1926-1927, (fig 13) Verso Cassala (fig 14) e Per la Cirenaica (fig 15).
Anche gli scorci caratteristici di città libiche, tagli documentaristici di vita araba come quelli dei dipinti Una via a Derna (fig 16) oppure Una via a Gademes 1928-1929 (fig 17) rivestirono un forte interesse per l’artista. La mostra evidenzia come grazie al suo lavoro artistico svolto in Tripolitania, Cirenaica, Eritrea, Somalia, luoghi appartenenti all'Impero Coloniale Italiano e in Algeria, Tunisia, Egitto e Palestina; i possedimenti italiani iniziarono ad essere maggiormente conosciuti. La stampa, un mezzo di comunicazione propagandistico impiegato dal Fascismo al potere, diede risalto all'operato di Oprandi, come si può vedere in esposizione, ma l'artista espresse fin dall'inizio il suo distacco dal Regime Fascista.
Il viaggio in Albania compiuto nel 1940 rappresentó per Oprandi un'occasione per nuovi spunti di approfondimento di vedute cittadine come Moschea a Elbasan 1940-1941, (fig 18) Veduta di Berat (fig 19) e ritratti di abitanti locali.
Il dipinto Costume albanese (fig 20) ritrae una giovane donna in abito tradizionale di colore rosso e nero con ricami in oro che lo impreziosiscono come in un altro significativo dipinto Fanciulla scutarina del 1940-1941. (fig 21).
Nei primi mesi del 1941 Giorgio Oprandi terminò il suo soggiorno nella Penisola Balcanica e fece ritorno in Italia. Da questo momento si stabilì a Bergamo dove un paio di anni prima in via Fara inaugurò la sua casa-studio in cui portò a compimento numerose vedute come i paesaggi innevati dell'opera Bergamo Alta dallo studio del pittore (fig 22) e Sant'Agostino (fig 23). Proprio alla pittura di paesaggio Oprandi dedicherà i suoi ultimi anni di attività.
L'ultima parte della mostra intitolata "ritorno a casa "è un ritorno definitivo a Lovere, suo paese natale e nei luoghi vicini a lui più cari. Qui Oprandi ha modo di illustrare ambienti luminosi come Primavera a Bossico (fig 24) e Altopiano di Bossico (fig 25)
che si alternano ai colori caldi di Betulle in autunno (fig 26).
Cambiano i soggetti che fino a questo momento lo avevano accompagnato nel suo "peregrinare artistico" e cambia anche il suo modo di dipingere. Questo appare particolarmente evidente nelle opere eseguite dagli anni '50 in poi in cui la sua pennellata diventa veloce, spezzandosi in tratti brevi e più liberi. L’autoritratto (fig 27) in esposizione eseguito nel 1960 c.a. è sintomatico della variazione del suo stile.
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